Punire i figli è legale?  Dove finisce l’educazione e comincia l’esagerazione? Molti genitori sono spesso in difficoltà nell’educare i loro figli soprattutto quando si tratta di gestire situazioni più anomale o quando sia ha a che fare con personalità più fragili, iraconde o problematiche. Nonostante ciò, a tutto c’è un limite, anche alle punizioni per i figli ed è proprio la legge a dirci fin dove possiamo spingerci come genitori. Ne abbiamo parlato con l’Avvocato Davide Cornalba Corso di Porta Vittoria Milano MI.

L’articolo 147 del nostro Codice Civile sancisce come sia dovere dei due genitori occuparsi di educare i figli.

Secondo la norma il matrimonio impone infatti:

l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.

La  Cassazione ha esteso questo articolo anche alle coppie di fatto.

E i figli hanno doveri nei confronti di chi li ha messi al mondo? L’articolo 315-bis del codice civile stabilisce che un figlio minorenne deve rispettare i suoi genitori.

Il dovere di educare può comprendere anche le punizioni nei confronti dei figli.

Le punizioni però devono essere:

Proporzionate al comportamento oggetto di reprimenda e alla personalità del soggetto.

Limitate nel tempo.

È possibile chiedere al figlio di rimanere nella sua stanza per qualche ora ma non per tutta la giornata.

Si può vietare la frequentazione di una persona ma solamente se questa è ritenuta di grave pregiudizio per il suo benessere o la sua crescita.

Se la figlia o il figlio hanno una personalità poco incline al rispetto delle regole giuridiche e sociali, i genitori hanno un dovere educativo maggiore nei loro confronti.

Il cosiddetto ius corrigendi impone quindi ai genitori di educare i loro figli, senza superare dei limiti. Il figlio maggiorenne può essere punito dai genitori?

Un figlio maggiorenne non può essere sottoposto a punizioni da parte dei genitori anche se vive sotto il loro medesimo tetto.

Continua a leggere sul blog dell’Avv. Davide CornalbaLa differenza tra adulterio e tradimento

L’adulterio è una situazione, non solo eccezionale, ma anche estremamente complessa, ed è significativo sottolineare che non costituisce fonte di indennizzo dal partner adultero alla presunta vittima. In realtà, la cessazione dell’amore è una circostanza di eccezionale timbro personale, non essendo il disamore, di per sé, un atto illecito suscettibile di pretesa risarcitoria. Nell’ipotesi in cui, per la natura dell’interesse giuridico tutelato, non trova applicazione la massima di Ulpiano da “neminen laedere”.

L’affetto non può essere oggetto di imposizione legale, perché non costituisce obbligo di fare o non fare.  

Ma molti si chiedono se c’è una differenza tra adulterio e infedeltà e se ci sono delle conseguenze diverse quando la questione viene portata in tribunale.

La differenza sostanziale tra un adulterio e un tradimento sta nel legame alla base della coppia. Si parla di tradimento quando due persone sono legate da un rapporto etichettabile come fidanzamento. Nella fattispecie quando uno dei due fidanzati intraprende una relazione con un altro soggetto, oppure quando il rapporto è occasionale e non continuo.

Si parla invece di adulterio se i due soggetti sono legati dal vincolo del matrimonio, questo anche quando la relazione extraconiugale non è di tipo carnale ma semplicemente platonico.

In tribunale quando si parla di tradimento commesso da uno dei due partner si può procedere alla separazione con addebito mentre l’infedeltà in rapporti non matrimoniali non dà diritto a risarcimenti né all’addebito per la separazione nel caso di coppie di fatto. Non è facile capire e tracciare i confini della fedeltà, per alcuni anche un semplice messaggio scambiato a tarda notte, o una simpatia in ufficio basata sul flirtare può essere considerata infedeltà.

Ovviamente benché si tratti di un qualcosa di soggettivo, in ambito giudiziario non tutti i comportamenti possono essere considerati come tradimento, ma esistono degli specifici atteggiamenti che danno la possibilità al giudice di chiedere la separazione con addebito anche quando non c’è stato un rapporto carnale.